Tony Colapinto apre la nuova rassegna teatrale del Teatro L’istrione di Catania
Grande apertura per il debutto di Malaùni con Tony Colapinto, scritto e diretto da Elisa Parrinello, con le musiche dal vivo di Giovanni Parrinello.
Con il debutto di Malaùni, lo spettacolo con Tony Colapinto, il Teatro L’Istrione di Catania, apre la nuova rassegna teatrale “Cunti e curtigghi” e la collaborazione con il Teatro Ditirammu di Palermo. Come può un cuore già lacerato aprire altri varchi, altre crepe per lasciar trapelare ulteriore dolore? L’anima sofferente di Turi, personaggio interpretato dall’attore Tony Colapinto, artista eclettico, attore, regista e direttore della Shakespeare Theatre Academy di Palermo, non vuole però restare dietro le quinte, in silenzio e omertosa. Non vuole rimanere deprivata della sua libertà di raccontare un’amara verità. Una verità che con coraggio entra in scena, a piedi scalzi, come fanno i bambini che si tolgono le scarpe perché sono infastiditi dalle stringhe e vogliono sentirsi liberi. I riflettori sono puntati su una sedia vuota, in legno massello: il vuoto della solitudine, la paura di esporsi, il silenzio di chi teme ripercussioni, critiche e giudizi, l’omertà di chi tace senza ribellarsi al diritto di essere se stesso e di sognare un futuro dignitoso all’altezza delle proprie aspettative, nonostante le diverse tendenze sessuali.
Lo schienale a listelli verticali la assimila alla poltrona di un re. In realtà, quella sedia potrebbe essere il trono di un Re senza corona e senza scettro ma che è degno di essere acclamato dal popolo come coraggioso Sovrano assoluto della sua stessa vita, conquistatore della sua inviolabile libertà. Un Re che desidera firmare armistizi di pace con il suo drammatico passato, fatto di abusi e omofobia celata, nonostante le
numerose guerre interiori. Guerre senza tregua tra un passato che non viene mai sconfitto e un futuro che promette libertà ma che destina alla più rassegnante solitudine. Quella sedia vuota, per l’inquieto Turi, è anche possibilità di catarsi, di liberazione dalle catene di quel trauma che autodistrugge, come un tarlo che divora il legno al suo interno. Un passato che logora il protagonista Turi, riducendolo in brandelli, facendolo morire più volte, anche lasciandolo vivo.
Sembra quasi non esserci differenza tra il legno della sedia, pronto a frantumarsi o a
resistere, e l’anima del protagonista dello spettacolo che, nella rievocazione dei traumatici ricordi, si riduce in pezzi, raccontando, per poi ricomporsi e diventare più consistente e più resistente della stessa sedia che sostiene il suo insopportabile dolore.
Sedersi su quella sedia per “cuntare” in dialetto, la lingua con cui meglio si esprimono i propri sentimenti e le proprie emozioni, non è da tutti. Eppure lo straordinario Tony Colapinto-Turi ci riesce in modo brillante, con la fiaba nera “Malaùni”, scritta e diretta da Elisa Parrinello, che a fine spettacolo è stata accolta sul palco fra applausi scroscianti.
Eccolo, Tony Colapinto, sdraiato su quella sedia, che potrebbe essere la sedia di tutti, con il capo chinato all’indietro a riecheggiare con fatica il tempo svanito, rimpianto. Il tempo che torna indietro solo con ricordi terrificanti, come coltelli affilati che colpiscono a tradimento la schiena, rinnovando la sensazione di morte.
Il cuore di Turi fa un grande rumore sul palcoscenico attraverso la straordinaria musica dal vivo di Giovanni Parrinello che è in perfetta sinergia con le emozioni del protagonista e le riproduce in modo inequivocabile, al punto da avere la sensazione che quel cuore sia uscito fuori dal petto per urlare, piangere, lamentarsi, invocare un Dio che lo ha abbandonato e poi pregarlo per chiedere la sua protezione. Disperarsi,
consolarsi, chiedere perdono per i sensi di colpa, espiare peccati commessi da altri. Quella musica è, a tratti, intervallata da un silenzio necessario, da una pausa che consente al protagonista di riprendere fiato dalla stanchezza di una vita marchiata da etichette, stereotipi, pregiudizi, offese, umiliazioni, paure.
Prendere fiato per tornare ad urlare la propria ribellione al destino e alle ingiustizie
subìte. Una condanna che diventa più insopportabile per il silenzio a cui si è obbligati e per
la paura di quel Malaùni, che non è solo una persona fisica che ha rubato l’innocenza ma è anche un dolore somatizzato nel corpo e nella psiche. Sì, perché in Sicilia Malaùni è il lupo mannaro, il licantropo che esce di notte con la luna piena, si trasforma, ulula e tutti scappano. Ma è anche il mostro di cui non
riusciamo a liberarci, un mostro che ci perseguita continuamente. In realtà, il leggendario Malaùni, che tanto spaventa i bambini solo a sentirlo nominare, Turi lo aveva conosciuto veramente. Così Turi, su quella sedia, su quel palcoscenico che è opportunità di catarsi, regredisce all’infanzia dolorosa e torna bambino per raccontare, ricordare per poi diventare nuovamente adulto e ribellarsi in modo rabbioso di quel peso. Urla e piange. Muore e risorge dal suo stesso dolore. Condanna il Malaùni che gli ha rubato l’infanzia e lotta contro quel ricordo che, di contro, sembra aver trasformato anche lui in un Malaùni rabbioso.
Torna indietro con la mente e nel doloroso viaggio a ritroso di quegli anni “ca sinni eru e un sacciu dunni”, ritrova pezzi di se stesso, come se fosse un morto che riconosce ciò che gli è appartenuto: una gamba un braccio, una scarpa, un brandello di cuore. La musica di Giovanni Parrinello, davanti alla disperazione di Turi è incisiva, martellante, proprio come le offese che rimbombano nella sua mente e sembrano quasi farlo impazzire, al punto che la stessa sedia viene lanciata in aria. La catarsi avviene in modo coraggioso e sublime. Turi perde e ritrova se stesso, con rabbia ma anche con grande dignità, tenendo saldo al collo o tra le mani quel crocifisso che lo lega alla famiglia e alle sue radici. Sulla sedia di legno che ha ben tollerato il drammatico “cunto”, fino all’ultimo istante dello spettacolo, Tony Colapinto-Turi commuove, stravolge, sconvolge e stupisce con la sua straordinaria capacità di affrontare un Malaùni che lo tormenta ma che non gli ha tolto la voglia di sognare la libertà e l’amore. E noi lo vediamo sorridere, seduto sul bordo della sedia, fiero di aver scelto la libertà, al contrario di tanti che si rassegnano all’omertà e alle critiche di essere
considerati diversi.
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